PROLOGO: La Galassia Empirica, in un lontano futuro.

 

Per molti anni, questa galassia è stata casa per l’uomo di nome Vanth Dreadstar.

Nel bene e nel male, l’ultimo uomo della Via Lattea è stato cittadino ed eroe, ribelle ed avventuriero. Ha combattuto in una lunga guerra, infliggendo gravi colpi ad entrambi i fronti della Monarchia e della Chiesa dei Dodici Dei. Il suo intervento, insieme a quello della sua ‘Compagnia’ di combattenti per la libertà, ha contributo a dare un colpo decisivo alle sorti del conflitto.

Le cose avrebbero dovuto migliorare, da quel momento. Non fu così.

Il terzo polo del conflitto, la Lega Tecnarchica, che fu l’ago della bilancia per la sconfitta della Chiesa, divenne la nuova potenza dominante. E senza alcun opponente politico o militare, essendo la Chiesa e la Corona ridotte a isolati manipoli di nostalgici senza potere, la Lega impose il suo sistema a tutto campo.

Controllo totale, dalle strade ai singoli appartamenti. Istituzioni onnipresenti, soffocanti, tentacolari, ed allo stesso tempo irraggiungibili e distanti dai bisogni dei cittadini.

Libero pensiero garantito…ma uniformato ad un preciso standard. Il ‘ceto medio’ non poteva aspirare al paradiso, se non con la corruzione più sfrenata. I nuovi nobili erano i raccomandati e coloro capaci di investire bene le tangenti. Gli altri erano forza-lavoro, appagata dal minimo necessario.

Schiavitù perfetta.

Il ruolo di Vanth in questo sinistro ordine grigio era di poliziotto, cacciatore di super-esseri. Isolato in un satellite artificiale, insieme ad una manciata di altri super-esseri, l’eroe di un tempo era divenuto un sicario malamente retribuito.

Per un po’, per quanto di malavoglia, Dreadstar aveva accettato questo nuovo ordine. Non aveva alternative, non aveva più un ruolo come eroe, era stato dimenticato.

Alla fine, ne aveva avuto abbastanza. Aveva dovuto attendere il suicidio di una cara amica, che per prima si era arresa alla follia quieta.

Ne aveva avuto abbastanza, ed aveva deciso di andarsene. Andarsene dalla Galassia Empirica, lasciarsi il grigio senza futuro alle spalle, costruirsi un futuro nel solo modo che conoscesse: andare incontro all’avventura, verso l’ignoto.

Un pio desiderio. Una pia illusione. Letteralmente

Vanth Dreadstar e la sua nuova Compagnia non avevano mai lasciato la Galassia Empirica. Non avevano mai raggiunto un’altra galassia, per dare vita ad un nuovo conflitto interstellare in nome della libertà dei popoli. Niente di tutto questo era mai successo.

Era stato tutto un lungo sogno.

Una sottile tecnica di interrogatorio.

Poi il sogno era finito. Vanth e i suoi amici si erano risvegliati. Ora erano liberi e pronti a ricominciare per davvero.

Si trattava solo di capire cosa fare e da dove iniziare.

 

 

MARVELIT presenta

Episodio 2 - Casa Dolce Casa?

 

 

La navetta sfrecciava indisturbata nello spazio, seguendo una rotta precisa.

“Qualcuno di voi pensa che ci stia andando anche troppo di lusso?” disse qualcuno al suo interno.

 

“Ma non mi dire,” fu la risposta della donna in nero conosciuta come Iron Angel. La cyborg dalle braccia di acciaio, con un occhio bendato, mentre controllava i sensori, aggiunse, “Qui non rilevo nulla, ma scommetto che proprio fuori dalla nostra portata c’è mezza flotta repubblicana alle nostre costole. Ehi, capo: sei tu il mago dell’ingegneria, qui. Se abbiamo un tracciante a bordo pensi di trovarlo?”

Al posto di guida, l’uomo-gatto dalla pelliccia dorata, Oedi, scosse la testa. “Credo che quell’affare sia la sola ragione per cui siamo ancora vivi: se lo smontiamo, li avremo addosso. E non chiamarmi ‘capo’: ho dato le dimissioni da Direttore della Parapolizia.”

In fondo alla navetta, intento al sintetizzatore, chino in due a causa della propria altezza, stava una montagna d’uomo che indossava solo un perizoma bianco. I suoi capelli erano una perfetta cresta da Mohicano. “Questo coso fa porzioni troppo piccole. Tuetun ha fame.”

“Tu hai sempre fame, amico mio. Prova a dire qualcosa di nuovo, per una volta tanto,” fece dall’ultimo sedile un umanoide tozzo, dalla pelle violetta, capelli e barba neri, e un sigaro acceso all’angolo della bocca.

Nel sedile accanto, intento a fare un check-up alla propria armatura, l’uomo di nome Fixx disse quasi distrattamente, “Skeevo, almeno lui mangia per tenersi in forma. Qual è la tua scusa? Aumentare lo spazio vuoto nel tuo cranio?”

“Tu, lurido…”

Come si era capito, a bordo regnava una certa tensione. Il recente passato di questi avventurieri era stato una menzogna, ma per loro era stato tutto vero. Ora, non solo erano tornati al punto di partenza, ma davanti a loro si presentavano solo incognite.

Dreadstar era abituato a tutto questo: in fondo, di guerre ne aveva combattute tre -contro gli Zelati, quando ancora la Via Lattea esisteva. Contro la Monarchia, per vendicare lo sterminio della sua nuova casa nella Galassia Empirica. E contro Lord Papal e la sua tirannica Chiesa. Quella quinta, virtuale, non contava. Una quarta guerra contro la Repubblica Tecnarchica non sarebbe stato questo sacrificio…ormai, lui si era rassegnato a non conoscere la pace: tanto valeva fare del suo meglio per aiutare gli altri.

Ma c’era qualcuno, nella sua vita, che non avrebbe dovuto conoscere questa sofferenza. Qualcuno che in quel momento lui stava stringendo fra le braccia.

Quel qualcuno era una donna, Willow. La malasorte aveva camminato al fianco di questa povera creatura: suo padre, ufficiale dell’esercito ecclesiastico, aveva ripetutamente abusato di lei. Sua madre era completamente impazzita, ed ora era ridotta ad un vegetale in qualche nosocomio privato. Un incidente causato, per quanto indirettamente, dallo stesso Dreadstar, l’aveva resa cieca…anche se a quest’ultimo dramma si era trovato rimedio attraverso il legame mentale con la scimmia Rainbow. Telepate e telecineta, Willow, insieme ad Oedi e Skeevo, era stato un membro fondatore di Dreadstar & Co. Dalla fine dell’ultima guerra, era diventata una donna cinica e distaccata, molto diversa dall’anima gentile che Vanth aveva conosciuto.

Ma rimaneva una donna fragile, dentro. E non era stata solo la perdita di Rainbow a infliggerle un duro colpo, no.

“Oedi…” mormorò Willow, troppo piano per un essere umano. Abbastanza forte per le sensibili orecchie feline.

Le orecchie triangolari fliccarono. Oedi mantenne un muso impassibile -sapeva che quel momento sarebbe giunto, ma una parte di lui avrebbe tanto voluto rimandare ancora…

Ma sapeva anche che sarebbe stato peggio rimandare. Era meglio parlarne ora, fin quando potevano, prima che le circostanze creassero un abisso incolmabile.

Oedi attivò il pilota automatico. Lasciò il posto del pilota e si avvicinò alla fila di tre sedili su cui sedevano i suoi vecchi amici. Se Willow poteva a buon diritto fregiarsi di tale appellativo, Vanth era un fratello ed anche qualcosa di più. Oedi conosceva Vanth fin da quando giunse la prima volta nella Galassia Empirica; allora, il gatto era stato solo un cucciolo curioso verso quello strano straniero giunto dalle stelle. Allora, la gente di Oedi viveva su un mondo reso fertile da avanzate tecniche agricole.

Poi quel paradiso era stato distrutto. Oedi era diventato l’ultimo.

Combattere era diventata la sua ragione di vita, la vendetta era l’unica cosa che avesse un senso. Se il popolo felino doveva scomparire, lo avrebbe fatto in un lampo di gloria!

Vanth, al suo fianco, era diventato l’unico che potesse capirlo, e che lui potesse capire. La loro unione era forte, e Willow non era una concorrente, ma un’altra camerata su cui riversare il proprio bisogno di proteggere qualcuno…

Dopo quel sogno maledetto, le cose erano cambiate drasticamente.

Willow si sciolse dall’abbraccio di Dreadstar. Accarezzò gentilmente il muso felino.

Willow si sentiva impazzire. Nel sogno, il suo corpo era morto, e lei era diventata una specie di fantasma elettronico nei sistemi di una nave spaziale. Allo stesso tempo, era una donna-gatto, una felina della galassia in cui avevano vissuto l’inesistente guerra. Era stata una schiava prima e compagna di Oedi poi.

Lui l’amava. Lei ricordava ancora il suo abbraccio, il suo odore durante l’accoppiamento, la ruvidezza della sua lingua, l’esotica forma del sesso…

Ma più di tutto, Willow ricordava la gioia e la paura del suo amato: la gioia di non essere più solo, la gioia di potere finalmente pensare a un futuro, di ricreare una stirpe. Avere qualcuno che comprendesse appieno il suo dolore. Un rifugio per la tempesta che aveva imparato a tenere sotto controllo dietro una maschera di freddezza…e la paura di perdere tutto questo un’altra volta.

Paura divenuta realtà. Il sogno era finito. E lui era di nuovo solo. Fra tutti loro, nessuno aveva sofferto altrettanto.

Donna e felino si abbracciarono forte. Vanth vide la disperazione farsi largo sul muso, vide le lacrime spuntare per la prima volta da quando il mondo di Oedi fu distrutto.

“La amavo, Willow…” sussurrò, accarezzando i capelli con dita tremanti, le zanne scoperte in un mezzo ringhio, le spalle scosse da muti singhiozzi. “La amavo tanto. Perché..?”

<Ti amo, Oedi,> fu la risposta trasmessa con la mente. <Lo so che ero un’altra, per te, ma ti amo. So cosa hai provato,  so cosa ti divora. Ora ti conosco come neppure Vanth può. Ti prego, non chiuderti anche a me.>

La coppia si sciolse, ma continuando a tenersi le mani. “Tu ami Vanth.”

Willow annuì. “Amo lui…ed amo te. Non posso e non intendo negarlo, siete divenuti entrambi molto importanti per me. Abbiamo tutti e tre un reciproco bisogno.” Il suo sguardo andò dall’uomo al gatto. “Si è forgiato uno strano legame, lo ammetto. Ma per adesso, accettiamolo così com’è. Non voglio che si creino stupidi attriti per negare la verità.”

Dreadstar annuì. Oedi annuì. “Di te mi fiderei fino alla morte ed oltre, Vanth.”

“Stessa cosa per me, amico mio. Uniti.” Stese la mano, e fu ricambiato. Willow aggiunse le sue mani alla stretta fra i due maschi.

“Cerchiamo di pensare alle cose veramente importanti, gente,” disse Angel. “Siamo sicuri di volere essere diretti dove siamo diretti?”

Dreadstar sospirò, alzandosi in piedi. Insieme ad Oedi, andò ai comandi. Si sedette al posto del secondo pilota, controllò rapidamente la rotta, e disse, “Confermo. La nostra destinazione è il Pianeta Chicano.”

“Lo ricordo,” disse Skeevo. “C’era una sola città, ma fu distrutta da un ordigno nucleare di Lord Papal. La colpa fu fatta ricadere su Vanth, per bollarlo come terrorista.”

“Esatto al primo colpo,” disse Dreadstar. “Anche se Zanathos mi vuole al più presto su Terminus, prima dobbiamo sbarazzarci dei nostri segugi.”

 

L’osservazione di Iron Angel era corretta fino in fondo, purtroppo: una piccola flotta di navi -una portaerei, tre incrociatori, quattro corvette, tutte guidate da una corazzata, si teneva esattamente fuori dal campo dei sensori della loro preda…

 

“Capitano, allora?” chiese il volto squadrato e barbuto sullo schermo. Indossava un elaborato elmo metallico con una cresta affilata. “Nessuna novità sulle intenzioni di Dreadstar & Co.?”

L’uomo, che indossava un’uniforme blu scura gallonata sul petto, con i polsini decorati da un campo stellato, fece un inchino. “Ammiraglio Togor, sono profondamente desolato, ma ogni microspia a bordo della navetta, così come quelle impiantate nei ribelli, sono state distrutte.”

Togor digrignò i denti. “Allora sembra che non ci sia altra scelta: continuate a tenerli d’occhio a distanza. Se la nave si fermasse su un pianeta, localizzate i loro contatti o qualunque base avessero predisposto, poi colpiteli con tutto quello che avete! Chiudo.” Lo schermo si spense.

Il Capitano Cragon, a suo merito, non fece trapelare uno solo dei pensieri che stava elaborando.

Come se ci fosse bisogno di ripetermelo… Dannato gorilla ottuso! Il Primo Ministro ti ha voluto al comando solo perché tuo fratello fu eliminato da una stupida trappola durante la ribellione al Papato! Ma non sperare che la fortuna ti sia di aiuto: ora che dobbiamo combattere contro questi super-esseri, vedranno tutti che razza di inetto sei!

 

Durante la lunga e tormentata storia della Galassia Empirica, Chicano era stato solo l’ennesimo tassello di tragedia.

Chicano, un mondo desertico a malapena adatto per la vita umana, non possedeva giacimenti minerari strategici, e doveva importare praticamente di tutto.

Il suo solo insediamento, la città omonima, era stato un esperimento riuscito di ecosistema artificiale autosostenuto su larga scala. Fu questa sua peculiarità a salvarla dalla terribile Peste Scarlatta che pose fine alla prima Guerra Galattica.

Nei secoli successivi, Chicano visse un periodo di pace. I suoi abitanti erano perlopiù accademici e rifugiati politici sia della Corona che della Chiesa, tutti uniti dal desiderio di una vita comune nel nome della pace. I Chicaniani erano un popolo neutrale, e nessuno osava fare di loro dei martiri.

Papal approfittò della presenza in città di Dreadstar e del suo mentore, Syzygy Darklock, per annientare sia i suoi nemici sia i vituperati ‘pacifisti’. L’attacco nucleare era stato abbastanza potente da lasciare pochi relitti scheletrici ed anneriti dove prima sorgeva una splendida megalopoli.

I Tecnarchi avevano deciso di lasciare il cratere radioattivo dov’era: la sola ragione per tale scelta era il risparmio puro e semplice. La città aveva funzionato come modello, altre erano state edificate su altri mondi. Chicano non valeva lo sforzo.

 

La navetta attraversò il cielo come una lancia infuocata, diretta verso il cratere.

Ad eccezione di Vanth, che sapeva cosa lo aspettava, gli altri avventurieri guardarono a quell’area morta con rispetto e timore.

Per quanto fossero state terribili le battaglie durante le Guerre Galattiche, gli ordigni nucleari erano stati dosati letteralmente col contagocce. Il mondo di Oedi fu il solo a conoscere la devastazione totale, perché non un filo d’erba potesse ricrescere per sfamare le truppe della Chiesa.

“Per le ossa di mio Zio Rufas (che riposi in pace),” disse Skeevo. “E qui dovremmo trovare qualcosa di utile per fermare i nostri inseguitori?”

“Potete scommetterci,” rispose Vanth, guidando la navetta verso quello che rimaneva di un condotto fognario scoperchiato dall’esplosione, in prossimità del centro. Era come volare su uno specchio: la superficie era stata vetrificata dallo scoppio, ripulita completamente. Il vero miracolo era che ci fossero ancora dei frammenti di cemento e metallo, fusi e rimodellati in fantastiche opere surreali.

La navetta atterrò.

 

“Il livello di radiazioni è ancora altissimo,” disse Fixx. “Se mettiamo piede fuori, non dovranno preoccuparsi di prenderci.”

Vanth ghignò. “Perfetto. In questo momento, i loro sensori devono essere andati fuori di matto. È la nostra occasione.” Si alzò e si diresse verso lo sportello. “Uscirò solo io. Vi preparerò una via verso l’interno.” Aprì il primo portello.

Navigare nello spazio, potere essere costretti ad un atterraggio di emergenza in un ambiente ostile, erano fattori di rischio molto concreti. Sottovalutarli significava morire.

A meno che i sensori di bordo non riscontrassero un ambiente favorevole, entrava sempre in funzione il meccanismo di doppia apertura.

La porta si chiuse dietro Vanth. Un segnale rosso lampeggiò sulla seconda porta -l’avvertimento che l’utente non aveva indosso la tuta spaziale.

Vanth digitò una sequenza di comandi, bypassando così quelli automatici. Schiacciò un ultimo pulsante.

La porta si aprì con un sibilo, lasciando entrare l’aria impregnata di radiazioni letali. Il corpo di Dreadstar iniziò subito a crepitare, mentre col suo potere assorbiva l’energia delle radiazioni, di fatto metabolizzandole.

L’uomo saltò, il corpo teso nella posizione del volo…e ricadde pesantemente su una soffice nube di polvere -no, decisamente il potere del volo non lo aveva riacquistato…ma forse si trattava solo di sapere convertire e riutilizzare l’energia dei gravitoni…

Inutile specularci su, ora. Dreadstar si alzò e corse verso l’apertura, nella quale saltò senza esitare.

 

“In tutto questo tempo, non ti abbiamo sentito dire ‘come vorrei tanto parlare di me’,” questo dalla bocca di Angel. “Allora, ‘Sire’..?”

Il possente umanoide dalla pelle verde, come verdi erano i capelli e la barba, vestito di una splendida armatura a tratti coperta da un ampio scarlatto, era rimasto immobile in un angolo, le mani appoggiate al pomolo della spada, perso nelle sue meditazioni, più una statua che un essere vivente.

Alla domanda di Iron Angel, Lord Karagon sollevò lo sguardo. “Parlerò a tempo debito, donna. Solo quando saremo al sicuro.” La sua era la voce di chi non era abituato a considerare gli altri. Suonava come se le avesse fatto un favore solo parlandole.

La donna avanzò a larghi passi verso di lui. “Col cavolo, uomo-insalata! Ho la precisa sensazione che tu c’entri non poco con il casino che hanno fatto ai nostri cervelli! Cerca  di collaborare ora e nessuno*ick!*” dovette ammetterlo: il maledetto era veloce! Aveva sfoderato la spada e l’aveva puntata alla gola di lei prendendola completamente di sorpresa!

“Mi dispiace,” disse Karagon. “Mi dispiace per quello che vi hanno fatto, mi dispiace per il vostro dolore…ma credetemi: fin quando non saprete nulla, non correrete altri rischi. Appena saremo certi di essere soli, vi dirò tutto. Così giuro.”

Angel non sembrava soddisfatta per nulla. Tenne il mento sollevato, digrignava i denti e fissava con odio il loro indesiderato ‘alleato’…

“Angel,” disse Oedi, dietro di lei. “Basta così.”

Lei fece spallucce, mentre indietreggiava. “Il capo sei tu.” E non scherzava, dicendolo: era stato l’uomo-gatto a selezionare i membri della speciale Parapolizia, mettendoli a terra l’uno dopo l’altro. Si era guadagnato il loro rispetto.

Oedi considerò la cosa: per lui, Vanth era l’uomo migliore per comandarli tutti…ma in quell’esperienza onirica si era dimostrato debole e plagiabile. Gli avrebbero dato una seconda possibilità, adesso?

 

Dreadstar corse lungo un condotto secco come il deserto esterno.  I suoi passi erano attutiti dall’onnipresente polvere.

Il buio era ormai così fitto che anche un gatto avrebbe avuto difficoltà a vedere…ma per Vanth era un altro discorso!

I suoi occhi percepivano l’energia su ogni spettro: per lui, il tunnel era illuminato a giorno dai raggi X, dai neutrini, dalla radioattività stessa.

Ma era un’altra cosa ad interessarlo: e sperava tanto che la sua memoria non gli stesse giocando brutti scherzi…

Sì!

Proprio dietro la curva, c’era una porta scorrevole blindata. Dreadstar la raggiunse.

Dopo essersi fermato, l’uomo scrutò attentamente: indubbiamente la porta di per sé era un formidabile isolante, aveva resistito al sisma da esplosione, e non lasciava passare un erg di ciò che stava dietro… Peccato che proprio questa precauzione, unita alla stessa blindatura nascosta dietro il cemento delle pareti, rivelasse altrettanto bene cosa si nascondesse lì sotto.

Vanth afferrò la porta. Il suo corpo crepitò delle energie finora immagazzinate, unite a quelle che stava ancora divorando…

Le dita affondarono nel metallo -diamine, se Papal avesse avuto simili difese a suo tempo, ci sarebbe stato da sudare forte solo per raggiungerlo!

La porta non cedeva. Dreadstar iniziò a vedere le stelle, ma non mollò. Tirò, tirò ancora…

 

“…e ancora non sono usciti dal cratere. Quali sono gli ordini, signore?” chiese il vicecapitano, rigido sull’attenti.

Cragon tamburellò sul bracciolo, mentre pensava alla risposta. Il nemico era scomparso in prossimità della città, era semplicemente ovvio che fossero ancora lì, nel cuore dell’area radioattiva. Tanto valeva che si dipingessero un bersaglio addosso!

Ma cosa potevano sperare di trovare, in quel posto? Degli abitanti, i soli sopravvissuti erano dei mercanti lontani per affari e turisti lontani per piacere. Gli unici due ad avere testimoniato direttamente l’olocausto di Chicano erano Infra Red e Ultra Violet. La seconda era morta suicida, e il primo si era esiliato in un monastero ai margini della Galassia…

“Gli ordini sono di attendere ancora. Lasciamo che credano di averla avuta vinta, per ora.”

 

“In quel sogno folle ho visto che gli occhi li avevi tutti e due, baby in black. Due splendidi occhini intensi e nerissimi…anzi, sono proprio curioso di vedere se…” Skeevo allungò una delle sue manone quadridigiti verso la benda della cyborg…e si trovò il polso stritolato da una mano metallica!

“Questa benda non è decorativa, pidocchio!” sibilò Angel come un serpente. “Prova a toccarla un’altra volta, e ti faccio vedere come si vive senza una mano.”

“Sheesh,” fece lui, massaggiandosi il polso. “E dire che mi lamentavo del vecchio Syz.”

In quel momento, la porta si aprì.

Vanth, entrando, si spolverò il costume. “Non hanno carica radioattiva, tranquilli. Dunque, la buona notizia è che ho trovato un rifugio antiatomico: la centrale energetica e di sintesi nel sottosuolo di Chicano. La cattiva è che dovremo restare lì per un po’ e prepararci a combattere duro: non credo che ci rinnoveranno facilmente il contratto di affitto.”

“E quanto ad arrivarci? Vivi, intendo?” chiese Skeevo.

“Meno di quanto pensiate. Fatevi indietro, per favore…” Vanth fissò il pavimento. Archi voltaici iniziarono a correre nei suoi occhi. “Vi consiglio di non guardare.”

Tutti distolsero lo sguardo.

Un unico colpo energetico partì dagli occhi! Il pavimento fu perforato come carta fino al suolo ed oltre. Il solo a fissare quel processo fu Karagon.

Quando il gruppo tornò a guardare, c’era un buco vetroso che correva fino al condotto fognario.

“Assorbirò le radiazioni. Coraggio, non c’è pericolo.” Vanth saltò giù per primo.

Uno dopo l’altro, la Compagnia di Dreadstar lo seguì.

 

Skeevo fu l’ultimo; come gli altri, fu afferrato al volo da Vanth. Appena l’eroe lo depositò a terra, il contrabbandiere prese a guardarsi intorno, stupefatto. Lanciò un fischio di ammirazione. “Per la… Questo posto è incredibile, e ne ho visti, credetemi!”

Una città sotto la città. Il segreto di Chicano, che al pubblico mostrava solo torri scintillanti e perfettamente mantenute, erano i suoi sotterranei. Qui risiedeva il cuore pulsante della città, protetto da ogni attacco. La città poteva essere distrutta decine di volte, ma fin quando ci fossero state queste apparecchiature, la ricostruzione sarebbe stata una mera formalità.

Edifici adibiti a centrali, titanici collettori di energia raccolta all’esterno, i migliori mainframe a bioreticolati cristallini e superconduttori, replicatori per avere cibo in quantità.

E tutto funzionava, in attesa di ridare vita a un mondo ormai perduto. Sciami di microrobot stavano già provvedendo a riparare il buco nel soffitto fatto da Vanth.

“Non hanno avuto il tempo di scappare,” disse Karagon. “Questo posto serviva anche come rifugio, ma non sapevano cosa li aspettava.”

“Vanth..?” chiese Oedi.

“Non ci sono punti di energia che possano indicare trappole…ma è solo logico che sia così. Teoricamente, questo posto dovrebbe essere imprendibile: cederlo è preferibile piuttosto che rischiare di danneggiarlo in uno scontro armato.”

“Già. E ora, cosa suggerisci di fare?”

Vanth annuì. “L’energia non ci manca. Contattiamo Zanathos da qui…ma prima,” si voltò verso Karagon, “prima credo sia giunto il momento di sapere che ruolo giochi nelle nostre vite, reali od immaginarie che siano.”

Karagon sorrise. “Sì, il momento è giunto.

“Il momento è giunto per spiegarvi che solo liberando un male necessario potrete salvare la Galassia Empirica da sé stessa.”